I Campioni dei Valori. “Beppe” Gentile e il salto lungo 30 anni

“La Roma degli anni 50 e 60 era una città molto meno complicata, e anche fare sport era più semplice di oggi”. Giuseppe Gentile fonda il suo convincimento su un fattore inequivocabile che ha a che fare con una modernità e le sue molteplici implicazioni. “Noi ragazzi che praticavamo un’attività sportiva, ci riferivamo a un modello semplice e chiaro; era la vita stessa a suggerircelo e ciascuno lo faceva suo arricchendolo delle proprie esperienze. Oggi la maggior parte dei modelli proposti ai giovani sono preconfezionati, tipo “chiavi in mano”,  e il loro è un approccio, per così dire, eterodiretto.” Gentile si riferisce naturalmente anche alla sua ormai lunga esperienza di relatore ai “Valori nello Sport”: “un progetto in grado di sollevare problematiche interessanti, se ci si preoccupa di legarle alla vita vissuta. Il “campione” è colui che sa cogliere l’interesse dei ragazzi, attraverso il racconto di vicende che possono apparire lontanissime nel tempo, ma rimangono comunque attuali.” Quelle vicende lui le avrà raccontate migliaia di volte, al punto che, dopo più di trent’anni, ha deciso di scriverci un libro. “La medaglia con(divisa)” non sembrerebbe tanto quella di bronzo che gli fu messa al collo a Messico ’68, se non ponendola sullo stesso piano valoriale di quelle di Saneev (oro) e Prudencio (argento), che in quella finale di salto triplo lo precedettero dopo una gara leggendaria, in cui per tre volte venne battuto il record del mondo. L’aspetto catartico della confessione di Gentile è facilmente intuibile, e pure una gestazione cosi lunga, che alla fine ha trovato finalmente uno sbocco, facilitata in qualche maniera dall’apparizione sul palcoscenico sportivo di un altro grande triplista come Fabrizio Donato, che non ha mai nascosto di avere avuto proprio Beppe il “modello” di riferimento. Gentile attraversò l’Olimpiade della contestazione e dei pugni chiusi, con la stessa leggerezza con la quale si staccava da terra per saltare: “Non ho vissuto la contestazione – afferma candidamente – credo perché nella mia famiglia non subivo pressioni di alcun genere, quindi non sentivo la necessità di ribellarmi”. Torna poi sull’episodio per ricordare l’amico scomparso: “Con Nelson Prudencio siamo rimasti in contatto, soprattutto epistolare, tanto che alla sua morte, due anni fa, venne una troupe di Globo Tv, la televisione brasiliana, per intervistarmi; invece con il russo Saneev non ci siamo mai più parlati.” Giuseppe Gentile non si è più ripetuto, come un’artista all’apice della creatività. Anzi, è proprio dall’arte che muove per chiarire il suo concetto di sport quale elemento di crescita individuale “più completo” in assoluto. “Anche l’artista cresce attraverso la sua abilità di esprimersi attraverso la pittura o la scultura, ma solo l’atleta cresce e si migliora ogni giorno, perché può misurarsi sia con se stesso che con l’avversario; almeno nello sport di una volta.” La precisazione merita l’approfondimento. E oggi? “ Sempre più spesso il confronto più intimo e personale, viene mediato dal denaro; scelta rispettabilissima, per certi versi inevitabile, ma pregiudizievole quante altre mai, perché in questo modo si rimane condizionati; è la crescita stessa a mutare in una involuzione individualistica che non contribuisce a fare dell’atleta un artista, se non di se stesso.”