I Giovani incontrano i Campioni. Con Claudio Tinari va in meta l'I.C. Campagnano

Accolto dall'inno d'Italia, cantato dagli studenti dell'Istituto romano a indirizzo musicale, il gentleman della palla ovale si è raccontato nell'ambito del progetto del Coni Lazio. Domani ultimo appuntamento prima della pausa natalizia con l'ex campione olimpico di pentathlon e oggi professore all'università di Cassino Daniele Masala.

Da quando, nel 2000, l’Italia si è aggiunta a Francia, Inghilterra, Scozia, Irlanda e Galles per dare vita al “Sei Nazioni”, il torneo a squadre più importante del vecchio Continente (esiste dal 1883), il rugby è assurto a sport “di massa” anche nel Belpaese. Eppure, quello che il giornalista scozzese Jack O'Malley definì “un gioco da delinquenti, praticato da gentleman”, da contrapporre al calcio, per il quale, invertendo l’ordine dei fattori, si capisce da quale parte batteva il cuore di Jack, dalle nostre parti ha avuto un cammino tortuoso e pieno di ostacoli. Iniziando da un faticoso iter nella scuola per sdoganarlo e affrancarlo dall’etichetta di sport violento, fino a introdurlo nella lista dei Giochi sportivi studenteschi. Molte mamme hanno accettato il fatto di veder tornare talvolta a casa il figliolo con qualche livido, senza per questo farne un dramma, ma nella consapevolezza che i valori trasmessi nello spirito di questo sport, siano quanto di più vicino, nella sostanza, al significato dell’aforisma di O’Malley. L’avversario non è mai un nemico, e si rispetta comunque. La sua forza non si misura a suon di mete, ma dall’impegno messo in campo. E poi c’è il famoso Terzo Tempo, il momento della condivisione, un’usanza che non funziona mica in tutti gli sport.I Giochi olimpici lo hanno accolto nella grande casa a cinque cerchi nella sua versione a sette, ma questo sembra non bastare alla sua definitiva consacrazione. Il travaglio e la cancellazione della Roma Rugby, con annessi 80 anni di storia, sono stati vissuti con colpevole indifferenza da parte di chi poteva intervenire e non l'ha fatto. Si dirà: succede anche in altri sport e in altri contesti, ed è anche vero che non mancano società che lavorano per il futuro.

La Capitolina è una di queste, come racconta Claudio Tinari, prima giocatore, poi presidente e ora tra i Veterans della Società di Tor di Quinto: “I ragazzi delle nostre giovanili rappresentano il futuro di questa società e del rugby romano. La nostra è stata una scelta precisa, quella di ripartire dalla base.” La scuola vi dà una mano? “Noi da anni ormai portiamo la palla ovale nelle scuole romane, che rappresentano il nostro bacino di utenza. Soprattutto tra i più piccoli. Qui si comincia a sei/sette anni e si prosegue fino agli U.19. I nostri valori sono: rispetto, determinazione nel raggiungimento di obiettivi, sostegno reciproco, presa d’iniziativa individuale, spirito di appartenenza”. In percentuale, quanti sono a seguire tutto il percorso? “Non è questo il punto. Si può anche iniziare e poi smettere; l’importante è aver assorbito la cultura, quel quid che ti rimane dentro e magari ti fa tornare quando sei già grande per portare tuo figlio.” Il vero spirito del rugby. “Se si parla di “fare squadra”, questo sport offre la rappresentazione esatta, a mio modo di vedere, del suo significato: 14 giocatori senza pallone che danno sostegno a chi corre verso la meta. E’ uno spettacolo che si può vivere solo in questo sport”. Cosa ci divide, ancora, dagli altri paesi che formano il Sei Nazioni? “Solo la tradizione. La chance di scendere in campo sospinto dalla forza di una storia scritta da tuo padre e dal padre di suo padre prima di te, che ti trasmette forza e entusiasmo. Questo, spesso, fa la differenza.”