L'intervista. Ao Rio 2016, Maria Marconi, l’Highlander del trampolino azzurro
“Di Sydney ricordo ben poco. Quella la definisco l’olimpiade dell’incoscienza. Nessuno si aspettava un mio exploit. Avrei potuto sfruttare l’occasione, che per molti atleti non arriva mai o arriva molto più tardi, per crescere e trarre esperienza. Ma avevo solo 16 anni.” Oggi Maria Marconi è un’atleta che alla soglia dei 32 anni non deve dimostrare più niente a nessuno, ha fatto pace con un passato segnato da grandi sofferenze e si appresta a vivere come un regalo questa terza partecipazione ai Giochi. “Un traguardo impensabile solo tre anni fa. Londra 2012 l’ho vista da casa, tormentata dai dolori alla schiena provocati da una lesione al nervo femorale, anche se ancora non lo sapevo e il futuro mi appariva come un grande punto interrogativo.”
La rinascita della tuffatrice romana, che da anni è al fianco del CONI Lazio nel progetto “I Giovani incontrano i Campioni”, itinerante nelle scuole della regione, parte proprio da lì. “Una volta guarita mi è tornata anche la voglia di gareggiare, guardare avanti. Ho riscoperto la passione, ma stavolta senza pressioni.”
Rio è il frutto di questa nuova filosofia, che Maria ha adottato dopo che la vita le ha messo di fronte una serie di ostacoli che avrebbero scoraggiato in molti. “Una gamba rotta mi ha fatto saltare Atene nel 2004. A Pechino, nel 2008, avevo raggiunto la maturità necessaria per capire, e capire aiuta a crescere. Poi il buio improvviso, fino all’intervento per correggere la tachicardia nel 2010.” Una carriera con molte ripartenze, successi importanti e una buona dose di sfortuna manifestatasi in una serie di quarti posti difficili da digerire.
L’ultimo sussulto al Gran Prix di Bolzano qualche giorno fa. “Niente di grave. Ogni tanto la schiena si fa sentire, ma sono solo fastidi. Il lavoro che sto portando avanti dal 2013 con i medici e i fisioterapisti del centro Atlas mi ha fatto rinascere e dato fiducia.” Come ti presenterai sul trampolino del Lank Centre il 12 agosto? “Affrontando un tuffo alla volta, a partire dalle eliminatorie. Può sembrare presuntuoso, ma ora non penso alle avversarie, piuttosto alla temperatura che troveremo. In questi giorni la massima è 26 gradi. La piscina è all’aperto e noi entriamo e usciamo dall’acqua. Una condizione nella quale è facile prendere freddo, anche in Brasile.” Nessuna pressione? “Quella del momento, certo. Ma oggi ho imparato a gestirla. Sono in grado di mettermi nella condizione migliore per fare bene. Ci sono arrivata anche grazie al percorso fatto con lo psicologo che segue la squadra. In passato ho perso delle gare per un approccio sbagliato, ma ora sono consapevole degli errori compiuti e pronta a trarne forza in questa avventura.”
Maria si sta recando a Rejka, in Croazia, per il collegiale con la squadra azzurra in partenza per Rio e il pensiero corre per un momento agli affetti lasciati alle spalle. “Roma e Teseo, i miei amati labrador, so già che mi mancheranno molto. Insieme al mio fidanzato, naturalmente, ma non chiedermi di fare una classifica.” Suggerimenti dai tuoi fratelli Nicola e Tommaso? “Solo tenere alta la bandiera dei Marconi. Per loro oramai sono Highlander (ride, ndr).” Questa olimpiade rischia di essere terremotata dall’esclusione della Russia. “Se le cose stanno come sembra, mi sembra una decisione giusta. Chiunque può incorrere in un doping causato da un farmaco preso per errore, ma qui si parla di un’organizzazione minuziosa, che va dalla somministrazione alla contraffazione delle prove; qualcosa di terribile che macchia tutto lo sport. A mio avviso, credo che chi lo ha fatto coscientemente una volta, tende a ricadere nella trappola. Mi chiedo solo come si possa sentire quando sale su quel podio e ha gli occhi del mondo addosso.” (nelle foto Maria in azione e con uno dei suoi cani)