L’Intervista. Matteo Cavagnini, capitano del Santa Lucia Basket: “Innamorato di questo sport. Sarebbe bellissimo portare i nostri trofei all’Olimpico in occasione del derby.”
Con la vittoria nella doppia sfida con Cantù, il Santa Lucia Basket domenica scorsa, coronando una stagione ricca di soddisfazioni, ha conquistato il 21° scudetto della sua storia. Dopo Supercoppa e Coppa Italia, questo è il terzo trofeo che la squadra allenata da Carlo Di Giusto mette in bacheca nel 2015. Il successo dei gialloblù al Pianella di Cucciago è stato netto (72-52), a conferma della superiorità dimostrata dai romani negli ultimi scontri diretti con i brianzoli (5-0); ma l’aspetto nuovo, che ha caratterizzato la sfida, è stata senza dubbio l’incredibile cornice di pubblico, quasi 4.000 spettatori, che rappresenta un record per una gara al chiuso di uno sport paralimpico. “Devo dare atto alla Briantea che ha fatto un ottimo lavoro di marketing nell’organizzare la gara, a partire dalle scuole. Ma non sono stupito, a Cantù ho trascorso quattro anni e conosco bene sia la società che la gente, abituata a mangiare basket.” Inizia con i complimenti agli sconfitti il colloquio con Matteo Cavagnini, 40 anni dei quali gli ultimi sette trascorsi nella Capitale come capitano del Santa Lucia e della Nazionale. “Da ragazzo, a Brescia, giocavo a calcio e il mio sogno era diventare… Roberto Baggio. Oggi, a distanza di tanti anni, posso dire che questo sogno l’ho quasi realizzato, in un altro sport.” Del pallone a spicchi si è innamorato subito: “La cosa che più mi affascina è che un elemento come la forza, determinante in molte discipline, non è in cima alla lista della mia pallacanestro, dove intelligenza e tattica sono molto più decisivi.” Questo spiega la possibilità offerta dal regolamento di schierare anche delle donne? “ Noi ne abbiamo tre nel gruppo, ma si tratta solo in parte di una scelta tecnica. Altri club, come ad esempio la Briantea, hanno deciso di non seguire questa strada, ma qui è diverso. Lo sport elemento di riabilitazione, fisica e mentale, oltre che strumento per velocizzare i tempi di recupero, è la pietra angolare sulla quale poggia la filosofia e la pratica della Fondazione Santa Lucia. Al di là dei risultati sportivi, che sono sotto gli occhi di tutti, la ritengo un’opzione vincente. Senza contare che se non avessi avuto al mio fianco Laura (Morato, ndr), certo non avrei messo a segno 26 punti diventando MVP della finale.” A dispetto della spettacolarizzazione dell’evento e di una fisicità controllata, una partita di basket in carrozzina sembra quasi una sfida a scacchi, dove la disabilità di ognuno viene sommata fino a raggiungere una quota massima, e dove l’abbattimento dell’handicap femminile è diverso da quello maschile: “E’ la trovata geniale di una disciplina che in questa maniera non lascia fuori nessuno – rimarca il concetto Matteo – perché, nel corso di una gara, chiunque può servire per compensare gli equilibri in campo. Una soluzione che è stata la carta vincente del Santa Lucia domenica scorsa.” L’attaccamento alla maglia del capitano è un altro elemento che traspare più volte. “Roma è straordinaria e ritengo la FSL un polo di eccellenza italiano e forse europeo. Per questo quando si parla del futuro di questa società, cerco sempre di pensare positivo, pur senza dimenticare i problemi che assillano questa istituzione, come tante altre nel nostro Paese. La politica dovrebbe cercare di capirne l’importanza e salvaguardarla perché alla fine si tratta di un bene comune.” Una raccomandazione finale: “Siamo in pieno “clima derby”, e stavolta il calcio potrebbe dare una mano anche a noi, alla visibilità di una società vincente e troppo spesso ignorata. Sarebbe bellissimo poter esporre i nostri tre trofei stagionali, il nostro triplete all’Olimpico, in occasione della partita.” (la foto è tratta dal sito del Basket Santa Lucia)