
Claudio Faccini
Con oltre 67.000 spettatori a partita, la National Football League (NFL) è il campionato più seguito al mondo (Wilkipedia, dati 2012). Dove il calcio non registra la crisi che sta vivendo in Italia, ad esempio in Bundesliga, le presenze medie allo stadio si attestano sulle 45mila. La risposta statunitense al britannico rugby non poteva che avere alcune caratteristiche salienti del suo paese d’origine, prima tra tutte l’imponenza: della macchina organizzativa, della pubblicità, della comunicazione, dei costi ma anche dei ricavi. In Italia, dove siamo agli albori del football americano, è soprattutto la passione a sostenere tutto il movimento. I Grizzlies Roma, tanto per esemplificare, dopo aver vinto il campionato Lenaf (II Divisione) lo scorso anno, hanno dovuto rinunciare al passaggio di categoria per la mancanza di un’adeguata copertura economica, mentre Claudio Faccini, riconfermato quest’anno head coach degli Orsi dopo aver condotto la squadra al trionfo sui Lions nella finale della scorsa stagione, ricopre anche il ruolo di defensive coordinator, una delle caselle più delicate nello scacchiere tecnico di una football league. Tanto per fare un esempio, i più famosi strateghi della difesa nella Southeastern Conference, come Kirby Smart e Brian VanGorder, viaggiano su stipendi da 8-900mila dollari. Ma, come abbiamo appena detto, da noi si deve fare di necessità virtù e cosi anche il presidente della società Stefano Cicinelli, alterna il suo ruolo dirigenziale a quello di preparatore dei linebackers. “Cercheremo di ripeterci per provare l’avventura nella serie maggiore – ha dichiarato Faccini ricevendo il Premio Coni Lazio – il gruppo è forse ancora più competitivo dello scorso anno con l’inserimento di alcune novità provenienti dall’Under 19. Dovremo cercare di evitare i cali di tensione e non farci condizionare dal ruolo di favoriti.” Obiettivo, raggiungere la terza finale e poi tentare il grande salto. Nella speranza che, poco alla volta, anche da noi il pubblico inizi a innamorarsi di questo sport. (foto Tedeschi: Claudio Faccini riceve il premio Coni Lazio dal vicepresidente del Comitato Gianni Biondi)

Carmine Della Corte
Nessuno ha avuto il coraggio di chiederglielo per timore che lo facesse per davvero. Che cosa? Beh, per esempio planare sul palazzo della Regione Lazio con l’inseparabile paracadute (come la Regina Elisabetta nel video di apertura della Olimpiadi di Londra, anche se in questo caso non si sarebbe trattato di un fake), e ritirare così il premio Coni Lazio che la Commissione gli aveva assegnato; il riconoscimento speciale intitolato a Cosimo Impronta. Carmine Della Corte non è certo uno che si fa crescere l’erba sotto i piedi, anche perché è più il tempo che sta in aria. Diecimila i lanci all’attivo e di questi ben 400 sulla Capitale, in occasione di tante manifestazioni negli ultimi 20 anni: dai festeggiamenti per il centenario della Polisportiva Lazio, con 25.000 spettatori dentro lo stadio, tutti col naso all’insù, al ParaShow, manifestazione che dal 2004 ha per palcoscenico i marmi dell’impianto progettato da Del Debbio, pensata per avvicinare il grande pubblico al paracadutismo. Presidente regionale dell’Aeroclub d’Italia nel 2001, primo di 8 fratelli tutti paracadutisti, grazie al suo intervento è stato rimesso in piedi lo storico aeroporto di Aquino, abbandonato da oltre 15 anni. Nel 2012 ha riportato la Lazio Paracadutismo a Roma, aprendo la scuola presso l’aeroporto di Roma Urbe. L’anno successivo, a novembre, ha incantato gli oltre 5000 studenti di Emozione Olimpico, atterrando all’interno dello stadio dopo aver volteggiato a lungo insieme ai suoi sodali, tracciando scie tricolori durante la discesa finita al centro del prato. Commentatore di RaiSport, da 13 anni è il capitano della Nazionale di Paracadutismo di Formazioni a 8 elementi, con la quale si è esibito in Australia nel 1999, ai Mondiali in Australia e in Coppa del Mondo in Spagna nel 2002. (Foto Tedeschi: il presidente Viola consegna il premio Coni Lazio nelle mani della figlia di Carmine Della Corte, a sinistra, che osserva divertito)

“Un campione è una persona normale.” Le parole, scandite chiaramente, planano da un’altezza di 203 centimetri sulla platea di alunni dalle classi prime della SMS “Elsa Morante”, nell’ex I municipio. La scuola dispone di un campo di basket e uno di calcetto, e un affaccio desolante su una voragine coperta di sterpi ed erbacce, dove fino a pochi anni fa resisteva lo storico campo Testaccio, teatro di gesta epiche della AS Roma anteguerra. La ferita ora è lì, come un ammonimento per le istituzioni cittadine, e a nulla finora sono valse le proteste di chi ha visto, giorno dopo giorno, il degrado divorarsi uno dei simboli sportivi di questa città.
Gli studenti presenti all’incontro di oggi dei Valori nello Sport, cercano di inquadrare l’ospite che sta parlando della sua avventura nel beach volley, rimanendo talvolta spiazzati dalla semplicità con la quale gli argomenti si incastrano tra loro, convogliando alla fine in una verità molto semplice: “non si prova niente di particolare nell’essere un campione, vincere tornei, eccellere nella propria disciplina. E’ il mio mestiere, ma in fondo è una condizione che riguarda anche voi. Magari a casa, ubbidendo ai vostri genitori, o a scuola, prendendo buoni voti e mettendo passione in ciò che fate.” Paolo Nicolai è ortonese, ha iniziato a giocare a beach volley a 18 anni (oggi ne ha 25), e dopo due mondiali U.21 vinti, nel 2012 insieme al romano Daniele Lupo ha raggiunto uno storico quinto posto alle Olimpiadi di Londra. E’ accompagnato dal suo allenatore, il CT Paulao, un brasiliano dalla battuta pronta e lo spirito allegro. “Rio 2016? Si va per una medaglia. Giocare in casa? Non più, ora la mia casa è l’Italia.” Con il delegato Coni Alessandro Fidotti nella veste di moderatore, si smistano le domande come i palloni in allenamento, in una sequenza continua. Come ti senti dopo una sconfitta? “Mai buttarsi giù. E’ la reazione più facile, ma anche la più sbagliata. Come esaltarsi dopo una vittoria.” Più difficile attaccare o difendere? “Attaccare è più bello. Difendere più complicato, perché ogni azione è differente e devi essere pronto a tante soluzioni – chiarisce Paolo, che in gara può “murare” l’avversario fino a 3,60 metri - La difesa è soprattutto testa.” Il tuo sport preferito? “Il basket NBA, che ho imparato a conoscere durante un lungo soggiorno negli USA.” La stagione del beach volley sta per ripartire, e già il 20 aprile il World Tour raggrupperà i migliori giocatori del mondo a Pechino. Lui sarà ancora in coppia con Daniele. “Insieme ci siamo tolti tante soddisfazioni.” La più grande? “Di sicuro la vittoria negli ottavi alle olimpiadi contro gli americani, i campioni in carica.” Ma come si fa a mantenere la solidità di sport di coppia? “Come per qualsiasi rapporto a due, anche nello sport si cerca di evitare al massimo gli screzi. Soprattutto quelli fuori dal campo. E poi la fiducia. Quella non deve mancare mai.”

Antonio Candreva
“La stagione più importante della mia carriera.” Non usa mezzi termini Antonio Candreva, intervistato dalla Rai durante la consegna del Premio Coni Lazio, per definire il suo 2013 con la maglia della Lazio. Quarantanove presenze nella stagione passata e sette gol, spesso decisivi per il centrocampista romano che oggi stimola gli appetiti di molti club, in Italia e all’estero. Nel frattempo ha conquistato un posto speciale nel cuore della tifoseria biancoceleste, che all’esordio nel febbraio 2012 non aveva esitato a contestarlo, per una fin troppo nota simpatia verso i colori giallorossi. Una contestazione alla quale Candreva ha messo la parola fine con un rendimento eccezionale. Decisivo nel derby di andata del campionato scorso, vinto dalla Lazio 3-2 (suo il gol dell’1-1), cosi come nel successo nella finale di coppa Italia del 26 maggio (il gol di Lulic fu propiziato da un suo cross, respinto malamente da Lobont); oggi l’esterno di Tor De Cenci è una pedina inamovibile per Reja, da sempre suo estimatore, ma lo sta diventando anche per il CT azzurro Prandelli, che dopo averlo convocato per la Confederation Cup, sa di poter contare su quelle che sono le sue doti migliori: velocità, potenza e capacità di interdizione, anche per il prossimo mondiale brasiliano. (foto Tedeschi: Antonio Candreva, primo da sinistra, Felice Pulici, Andrea Moretti, Nicola Zingaretti e Riccardo Viola) 4. continua

La SMS “Severino Fabriani”, insieme alla succursale Magarotto di via Nomentana, è la sola sede romana dell’ISISS (Istituto Statale di Istruzione Specializzata per Sordi). Basterebbe questo per rendere il senso dell’eccezionalità dell’appuntamento di ieri, inserito nel progetto dei “Valori nello Sport”. In realtà c’è stato molto di più, a iniziare dalla scelta del protagonista della giornata. L’ex calciatore Felice Pulici, da poco più di un anno nella giunta del Coni Lazio, ma ormai da tempo impegnato con la Federazione Sport Sordi; una collaborazione che dura tuttora, per la quale ha seguito un paio di edizioni delle Deaflympics, anche nella veste di Commissario Straordinario. Pulici, che ha conservato la serietà e il professionismo che ne fecero a suo tempo una bandiera per la tifoseria biancoceleste, ha abbracciato con passione questa nuova avventura, seguendo un corso pluriennale per imparare la lingua dei segni e calarsi completamente nella nuova realtà. Questo è il resoconto del suo incontro con i ragazzi della “Severino Fabriani”, il primo in assoluto per i “Valori” in una scuola integrata, reso possibile grazie alla sensibilità della direzione scolastica.
Si può fare sport insieme, udenti e non udenti – chiarisce Pulici sovrapponendo le mani per sottolineare il concetto – questo è quanto si propone la Federazione, che ieri era rappresentata dal Presidente Guido Zanecchia, dalla dott.ssa Paola Valli, ex pentatleta e dal dott. Fabio Gelsomini, tecnico del settore basket. Nella scuola si praticano calcio e pallacanestro, ma le possibilità di integrazione sono potenzialmente molto più ampie. Perché il calcio ? ha chiesto qualcuno. “In provincia, ai miei tempi, non è che le scelte fossero poi tante”. E la decisione di fare il portiere? “Beh, si sa che il portiere e il centravanti sono i ruoli più ambiti”. Come si diventa famosi? “Costanza, sacrificio, allenamenti e fortuna. Non necessariamente in quest’ordine, e in dosi variabili tra loro.” Cosa sognavi da ragazzo? “Un pallone di cuoio, di quelli con la camera d’aria. Quando lo ricevetti in dono, mi sembrava il regalo più bello del mondo. La mia era una famiglia povera, e io ovviavo alla mancanza di un pallone con degli stracci arrotolati. Quando finalmente ne ebbi uno vero e tutto mio, ci andavo anche a dormire. Ma il sogno durò solo un giorno, perché quello successivo il pallone finì sotto un autobus e scoppiò. Dapprima mi disperai, ma decisi di non dire nulla ai miei. Riempii nuovamente quel guscio ormai floscio con degli stracci (ancora), continuando a giocare con quella cosa così riadattata. In fondo, l’importante per me era di avere un pallone tutto mio.”